Lancio del CED – Professor Francesco Balletta, ordinario di Storia Economica e Storia Economica dei Paesi in via di sviluppo, Università Federico II, Napoli

Non so perché volete riservare a me l’applauso, per i capelli bianchi probabilmente; comunque vi ringrazio. Ringrazio gli organizzatori che mi hanno invitato a fare qualche riflessione, semplicemente, su un argomento che è quello dell’economia locale.

Io per cinquant’anni mi sono occupato di problemi finanziari: ho trattato delle assicurazioni, delle storie della Borsa e delle grandi Banche. Ho scritto moltissimi libri su questi argomenti di carattere generale, o per lo meno, argomenti che riguardano un’economia prevalentemente mondiale: l’ultimo che ho trattato è quello sulla vigilanza bancaria, e alla fine mi sono trovato “impegolato” nello studiare la vigilanza bancaria a livello europeo tramite la Banca Centrale Europea, pur partendo dai compiti della Banca d’Italia, che sono comunque a livello nazionale. Giunto alla fine di questi percorsi, mi sono accorto che nella mia vita ho visto, per molti anni, i piccoli centri che costituiscono l’ossatura della vita demografica del nostro Paese. Piccoli centri costituiti da città, paesi che vanno dai 100 ai 10000 abitanti fino a un massimo di 40000, non oltre. In questi centri, c’è un’economia particolare che non viene presa in considerazione. Tutti gli indicatori che abbiamo, PIL ed altri, a mio avviso non prendono in considerazione questa economia: l’economia locale.

Potrei fare una parentesi. L’incaricato dell’assessorato al Comune ha parlato della città di Napoli e della città metropolitana; noi ci dobbiamo rendere conto che, storicamente, le grandi città – e Napoli è stata la città più grande d’Europa (se non del mondo) nel 1500 e nel 1600 – erano divise dal punto di vista economico. Napoli era divisa nelle circoscrizioni di economie particolari; oggi sono rimasti solo dei residui, ad esempio il centro orafo, il centro dei guantai: la città era divisa per attività produttive, gestite da corporazioni. Io sto parlando di una vita di queste strutture che è durata quattro, cinque secoli, non venti o ottant’anni: era fondamentale che l’economia del quartiere fosse legata alla produzione dei guanti, alla lavorazione dell’oro, della ceramica, a tutti i settori artigiani. Quindi, come vedete, non possiamo pensare a una città così grande e difficilmente gestibile: anche la grande città va vista divisa in tanti piccoli centri.

Torniamo ai piccoli centri, dove ho vissuto e osservato per poco tempo l’economia locale. In questi centri, molto ruota attorno all’attività economica che si svolge specialmente durante mercati e fiere settimanali. Al mercato, il contadino porta la sua produzione settimanale; se ha prodotto un quintale di pomodori, li vende sul mercato, e senza pesarli, perché non possiede bilancia: li pesa per approssimazione. Questo discorso vale per tutti i prodotti: questi contadini vivono di questo. Gli artigiani della zona vivono della domanda che il contadino fa degli attrezzi di cui ha bisogno (aratro, forcone e altro), e la banca locale è una banca che è legata all’attività dell’imprenditore: il proprietario della banca (non il direttore) intrattiene rapporti direttamente con l’artigiano, con il contadino che ha bisogno del finanziamento. Questa è una realtà che può essere osservata benissimo in qualsiasi centro.

L’Italia è organizzata in piccoli centri aggregati, non è la Francia, una grande città dove gira tutta l’economia: il Paese gira intorno a questi piccoli centri che sono controllati meglio, in cui la politica economica che si può attuare può anche essere controllata facilmente. Chi è che deve attuarla? È il sindaco che dovrebbe prendersi questo compito. Fino a qualche anno fa, il sindaco doveva occuparsi solo di alcuni servizi: ora, ha il compito anche di sostenere lo sviluppo economico. E quindi, dal punto di vista agricolo, cosa dovrebbe fare per queste economie? Dovrebbe fare in modo che non arrivino concorrenti esterni che distruggano l’economia locale: non consentire, per citarne una, che i grandi magazzini e i grandi centri commerciali vengano e distruggano completamente un’economia durata per secoli. Ovviamente, si creano difficoltà, crisi: eppure, l’economia di questi piccoli centri continua a essere piuttosto florida. Posso citarvi Apice, in provincia di Benevento, Avella e altri piccoli centri in cui la vita era essenzialmente legata a quest’attività.

Badate bene che, in questi centri, si può addirittura arrivare a introdurre una moneta locale. E questo ve lo dice uno che ha sostenuto a spada tratta l’esistenza e la valorizzazione dell’Euro, che lo ritiene strumento importantissimo per far fronte a problemi di finanza internazionale, ma non certo a problemi finanziari del piccolo centro costituito da 500 abitanti. Nel piccolo centro, la moneta potrebbe anche non arrivare. Vi spiego subito. Il contadino porta un quintale di pomodori sul mercato, in cambio lo dà all’artigiano che a sua volta gli dà un aratro; quindi, fa un baratto: aratro contro pomodoro. Ovviamente, a questo punto entra in gioco la necessità della moneta, e si può anche creare una moneta locale, lo Scec (già esistente in molti paesi), che gira e si muove nell’ambito della città. Il contadino, in cambio dei suoi pomodori, riceve uno Scec con un dato valore, che poi scambia con un altro: questo scambio consente la circolazione dei beni, e quindi la sostituzione della moneta. Questo non vuol dire che non bisogna avere una moneta a livello nazionale, internazionale, ma questa moneta (lo Scec) può servire a livello locale.

Dal punto di vista agricolo, il cosiddetto sindaco dovrebbe gestire l’agricoltura facendo in modo che non arrivino prodotti dall’estero, e sostenendo l’agricoltura biologica. Dal punto di vista dell’artigianato, l’artigiano dovrebbe seguire quelle che sono le innovazioni senza perdere la tradizione della sua produzione, che è caratteristica e particolare, e tale deve rimanere; l’artigiano, inoltre, dovrebbe essere sostenuto attraverso il risparmio energetico, attraverso altre forme di consumo, sfruttando altre forme di energia (non solo l’energia elettrica). All’artigiano si potrebbero far risparmiare le tasse, e, a mio avviso, il piccolo centro potrebbe, o dovrebbe, attuare una politica di rifiuti zero, facendo in modo che i rifiuti siano completamente annullati. Nel piccolo centro è molto facile farlo, ma questo obiettivo non se lo sta ponendo solo il piccolo centro: ad esempio, in America, anche una città come San Francisco sta cercando di attuare questa politica di rifiuti zero. È possibilissimo farlo: il primo passo sarebbe quello di eliminare tutti gli involucri che mantengono il prodotto (il peso di un telefonino, ad esempio, è contenuto in almeno quattro, cinque scatoli, e così via). Rifiuti inutili, che potrebbero essere tutti riutilizzati: qualsiasi aspetto va considerato.

Bisogna, ovviamente, tener conto della politica sociale, sempre fondamentale e da mettere in atto: bisogna sostenere e porre sempre l’uomo al centro dell’economia, attuando principi di sussidiarietà, solidarietà, di bene comune; tutti principi attuabili facilmente, partendo anzitutto dalla cooperazione. Cooperazione fondamentale, che nel nostro Mezzogiorno ancora non entra nel merito: devono essere quegli stessi contadini, quegli stessi artigiani che operano su quello specifico territorio e che si conoscono tra loro, a costituire una banca cooperativa che possa essere di aiuto. Sono gli stessi produttori che devono creare queste cooperative, perché conoscono il settore. Porto sempre come esempio una banca che sta avendo e continuando ad avere successo: la Banca Popolare di Torre del Greco, legata alla produzione di corallo. Sono stati gli stessi produttori e pescatori di corallo a mettersi insieme nel 1880, creando questa Banca, rimasta legata a questo particolare settore produttivo.

Vi ho parlato delle zone a Napoli. Per ogni centro economico esisteva un Banco; erano otto i Banchi napoletani, e ognuno aiutava il settore nel quale operava, il proprio quartiere di appartenenza; tra l’altro, non concedevano grandi prestiti: questi Banchi possedevano il microcredito. Il microcredito non è stato inventato adesso: c’era già a Napoli nel 1500, e oltre. In pratica, i Banchi attuavano questo microcredito attraverso piccoli prestiti, mutui senza interesse: si poteva portare il corredo, il materasso, e si riceveva in cambio un prestito da restituire. Questa storia ci è giunta attraverso l’archivio storico del Banco di Napoli, che raccoglie le documentazioni di questi otto Banchi: una documentazione preziosissima, attraverso la quale possiamo vedere cosa veniva dato in prestito. Se volete sapere quanto veniva pagato uno schiavo, quanto costava uno schiavo con determinate caratteristiche, è lì che bisogna andare. Non vi è altro posto al mondo dove poter trovare questa documentazione. Senza entrare nella tecnica: si scriveva la ragione, il motivo del trasferimento di un determinato bene, descrivendo il bene in questione, e grazie a questo è possibile capire come avvenivano gli scambi. Quante altre cose fondamentali sono contenute in quell’archivio; ma, come sempre, bisogna saper fare le ricerche.

Credo, a questo punto, di essere andato fuori dai miei tempi. [applausi coprono la parte finale della frase].

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