Referendum del 17 Aprile sulle Trivelle: di che cosa si tratta, le ragioni del sì e del no

Daniela Finamore

“Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio?” Questa è la parafrasi di un quesito ricco di riferimenti normativi su cui i cittadini italiani saranno chiamati a esprimersi domenica 17 aprile 2016.

Come nasce il referendum

A settembre 2015 dieci Consigli regionali italiani (Abruzzo, Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise), appoggiati da campagne di mobilitazione di movimenti ambientalisti e comitati locali, hanno presentato ricorso contro il decreto “Sblocca Italia, provvedimento governativo concernente diverse misure, tra cui la riduzione delle importazioni di metano e petrolio tramite un maggiore sfruttamento dei giacimenti nazionali.

Sei sono i quesiti referendari che le Regioni hanno elaborato contro il decreto, tanto su questioni di metodo che di merito. Nel primo caso, il riferimento è alla controversa questione del conflitto di attribuzione di competenze in materia energetica tra Stato e Regioni; nel secondo caso, le Regioni chiedono l’abrogazione delle norme che definiscono la ricerca e la coltivazione d’idrocarburi in Italia come un fattore strategico e di pubblica utilità, rendendo possibile l’estrazione di gas e petrolio anche entro le dodici miglia dalla costa, soglia massima stabilita nel Decreto Prestigiacomo del 2010 dopo il disastro ambientale nel Golfo del Messico.

Fonte: meteoweb.eu

La Legge di Stabilità del 2016 ha accolto e trasformato in legge le richieste delle Regioni ma la Corte di Cassazione, ritenendo che le istanze di un quesito non fossero soddisfatte, ha dichiarato l’ammissibilità di quest’ultimo nel Gennaio 2016. Nel frattempo, l’Abruzzo decide di abbandonare le Regioni promotrici del referendum e sei di esse (Basilicata, Sardegna, Veneto, Liguria, Puglia e Campania) presentano un conflitto di attribuzione alla corte Costituzionale su due quesiti già valutati dalla Cassazione, contestando al governo di aver legiferato su una materia che è, secondo testo costituzionale, di competenza delle Regioni.

Due sono i quesiti in gioco: il primo è il “piano delle aree”, vale a dire lo strumento di pianificazione delle trivellazioni che richiede il coinvolgimento delle Regioni, il secondo invece riguarda la durata dei titoli per la ricerca e lo sfruttamento degli idrocarburi – sia liquidi sia gassosi − sulla terraferma.

Il 9 Marzo, la Corte Costituzionale boccia i ricorsi per vizio di forma − ben cinque dei sei delegati regionali che avevano promosso ricorso non erano legittimati a rappresentare la Regione, in quanto sprovvisti di una nuova deliberazione del proprio consiglio regionale − lasciando quindi un unico quesito superstite, relativo alla durata delle concessioni in mare entro le dodici miglia.

Il quesito

Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?

Il sovra citato comma 17 dell’articolo 6 prevede che le trivellazioni in mare di gas e petrolio già in atto entro le dodici miglia dalla costa, cui siano già state rilasciate concessioni, non abbiano una scadenza, ossia possano proseguire fino a quando il giacimento lo consente. Con il referendum, di tipo abrogativo e valido solo se andrà a votare la metà degli aventi diritto al voto, si chiede ai cittadini di votare SI se vogliono limitare la durata delle trivellazioni alla scadenza fissata al momento delle concessioni, votare NO per lasciare l’articolo nella formulazione originaria e quindi permettere l’estrazione di gas e petrolio entro dodici miglia dalle coste italiane senza limiti temporali. Il referendum non riguarda le 66 concessioni estrattive marine presenti in Italia, ma solo 21 di esse che si trovano entro le dodici miglia dalla costa e che, in caso di vittoria del si, dovrebbero chiudere entro 5- 10 anni.

Fonte: left.it

Le ragioni del sì

• Rischi per la fauna e per la pesca: per la ricerca del gas e del petrolio viene utilizzata la tecnica dell’air gun, spari di aria compressa che generano emissioni acustiche ed esplosioni che possono ledere e modificare il naturale comportamento di una serie di organismi marini;

• Rischi di disastro ambientale: il danno ambientale proveniente da un eventuale malfunzionamento delle piattaforme sarebbe amplificato dal fatto che i mari italiani sono chiusi;

•  Danni al turismo balneare provocati dalle piattaforme;

• Mancato investimento per l’economia italiana: le riserve certe nei mari italiani corrispondono a sei settimane di consumi nazionali di petrolio e sei mesi di gas. Inoltre, per l’estrazione di petrolio le compagnie devono versare delle royalties che in Italia sono le più basse al mondo;

• Messaggio politico: dare al governo un segnale contrario all’ulteriore sfruttamento dei combustibili fossili e a favore di un maggior utilizzo di fonti energetiche alternative.

Le ragioni del no

• Perdita d’investimenti e posti di lavoro: Interrompere le trivellazioni entro le acque territoriali italiane significherebbe perdere gli investimenti fatti e programmati; inoltre, una vittoria del sì avrebbe delle conseguenze negative sull’occupazione, giacché migliaia di persone perderebbero il lavoro a causa della fine delle concessioni;

• Fabbisogno energetico: L’Italia estrae sul suo territorio circa il 10 per cento del gas e del petrolio che utilizza. Avere fonti energetiche domestiche permetterebbe risparmio, riparo dalla volatilità dei prezzi delle commodities e limitazione dell’inquinamento evitando il costante passaggio di petroliere;

• Il referendum ha ragioni squisitamente politiche: secondo il comitato per il NO il vero interesse delle Regioni a promuovere il referendum è quello di far sentire il proprio potere in una fase governativa in cui esse stanno progressivamente perdendo alcune importanti autonomie e competenze, anche sulle questioni energetiche.

Per saperne di più

Le ragioni del SI: http://www.fermaletrivelle.it/ http://www.notriv.com/

Le ragioni del NO: http://ottimistierazionali.it/

About Daniela Finamore

Policy Officer per la FOCSIV – Federazione degli Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario, dove svolge attività di policy, lobbying e campagne sulla questione dei cambiamenti climatici da oltre un anno. Ha un master di II livello in Economia dello Sviluppo e Cooperazione Internazionale. Laureata Magistrale in Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, si è specializzata sui temi dello sviluppo, della politica agricola internazionale e della sicurezza alimentare. Premiata nel 2014 come “Laureato Eccellente" dell’Università di Roma "La Sapienza".

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