Il futuro del lavoro e la quarta rivoluzione industriale: un’analisi del Rapporto WEF 2016

Micol Forbice

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business

Introduzione

In questo periodo storico stiamo assistendo a cambiamenti tecnologici rilevanti (l’avvento di internet, l’utilizzo sempre più massiccio di dispositivi mobile, etc.) che stanno avendo ricadute importanti sulla nostra vita, in particolar modo sull’accesso alle informazioni e sui rapporti interpersonali.

Il mercato del lavoro risente fortemente di questi cambiamenti e svolge al contempo un ruolo passivo, di assorbimento delle nuove tecnologie per migliorare l’efficienza dei sistemi produttivi e del terziario, e un ruolo attivo, giacché esso stesso è caratterizzato da una forte propensione a innovarsi e ristrutturarsi per andare incontro alle nuove esigenze.

Ma in che modo cambierà il lavoro di domani? Nel complesso, la sparizione di numerose tipologie di lavoro sarà compensata dall’emergere di altrettante nuove tipologie? In che modo si potrà favorire lo sviluppo tecnologico, pur consapevoli che porterà sempre più alla creazione di nuovi mestieri altamente specializzati e sempre meno all’utilizzo di professioni che non richiedono capacità che debbano essere necessariamente svolte dall’essere umano?

Domande a cui è difficile dare una risposta esaustiva, e con cui l’Uomo si è scontrato fin dai tempi più antichi.

 

1. La quarta rivoluzione industriale

Oggi sempre più si parla di “quarta rivoluzione industriale”, che fa seguito alla precedenti tre rivoluzioni industriali del mondo occidentale  (nel 1784, che vede la nascita della macchina a vapore, nel 1870, che dà il via alla produzione di massa, elettricità, motore a scoppio e diffusione sempre più capillare del petrolio, e nel 1980, che vede la nascita dell’informatica).

Ognuna di queste “rivoluzioni” in realtà non è stata altro che il frutto dell’ingegno umano, nato dall’esigenza di migliorare la propria qualità di vita.

Come le precedenti tre, anche questa rivoluzione sta portando e porterà a cambiamenti socio-economici epocali a livello globale in moltissimi settori, tra cui l’intelligenza artificiale, la robotica, le nanotecnologie, la stampa 3D, la genetica e le biotecnologie.

Non parliamo solo di evoluzione tecnologica, ma anche economica, geopolitica e demografica: tipologie di “evoluzioni” strettamente interrelate tra loro. (Fonte)

 

2. Il rapporto “The future of jobs”

Il rapporto “The future of jobs” presentato al World Economic Forum prevede sia un’analisi delle trasformazioni in atto dovute alla Quarta Rivoluzione industriale, sia un’analisi delle mutazioni nei settori produttivi e nelle diverse aree geografiche.

 

Metodologia di indagine

«Questo rapporto illustra l’evoluzione del lavoro fino al 2020, sulla base delle indicazioni raccolte tra i responsabili delle Risorse Umane di 350 tra le maggiori aziende mondiali (di cui 150 incluse tra le 500 di Fortune). Complessivamente queste imprese rappresentano circa tredici milioni di dipendenti. L’analisi si riferisce a 15 tra i maggiori Paesi nel mondo (tra cui Cina, India, Francia, Germania, Italia, Giappone, Uk e Usa). Vengono fornite informazioni dettagliate su nove settori: Industria e costruzioni, Commercio, Energia, Servizi finanziari, Sanità, ICT, Media & Intrattenimento, Logistica, Servizi professionali» (da economyup)

 

2.1 Quali sono i principali risultati dell’indagine?

Dall’indagine emerge in primis il fatto che nei prossimi cinque anni l’evoluzione del lavoro sarà profondamente influenzata da fattori tecnologici e demografici. La maggior parte delle tipologie di lavori richieste oggi non esisteva dieci anni fa, e il tasso di cambiamento è destinato a crescere. Si stima che circa il 65% dei bambini che iniziano oggi la scuola primaria, saranno occupati in mansioni al momento ancora inesistenti. In un contesto lavorativo in continua e rapida evoluzione come quello attuale, acquisirà sempre maggior importanza la capacità di anticipare e prepararsi a fronteggiare la tipologia di skills necessarie in futuro da parte di tutti gli attori, in primo luogo da parte di imprese, governi e singoli individui.

Dal rapporto emerge chiaramente che nei prossimi anni si assisterà alla creazione di due nuovi milioni di posti di lavoro e al contempo alla sparizione di sette “vecchi” milioni di posti di lavoro, registrando pertanto un saldo netto negativo di oltre cinque milioni di posti di lavoro.

Detto questo, nella nostra mente sorgono – tra tante – le seguenti domande:

 

  • Quali gruppi professionali emergeranno e quali spariranno?
  • Quale sarà la ricaduta sulla diversità di genere nel mondo del lavoro?
  • Quali aree geografiche risentiranno maggiormente di questa rivoluzione?

 

Sulla base del rapporto presentato dal World Economic Forum (WEF), analizziamo brevemente gli effetti a livello di gruppi professionali, genere, aree geografiche e situazione italiana.

a) Gruppi professionali: i gruppi professionali maggiormente colpiti saranno quelli inerenti le aree amministrative e della produzione: rispettivamente 4,8 e 1,6 milioni di posti distrutti, compensati solo parzialmente da altre aree come l’area finanziaria, il management, l’informatica e l’ingegneria. Cambieranno di conseguenza competenze e abilità ricercate: nel 2020 il problem solving rimarrà la soft skill più ricercata, ma diventeranno ancora più importanti pensiero critico e creatività. In questo contesto, sarà sempre più forte la competizione in termini di recruitment di profili legati a queste aree professionali.

In media, entro il 2020 oltre un terzo delle skills maggiormente ricercate dalla maggior parte delle occupazioni comprenderanno skills che a oggi non sono ancora considerate cruciali. In particolare, sempre più forte sarà il ruolo delle social skills, mentre le technical skills dovranno essere completate da forti social and collaboration skills.

L’assenza della capacità di anticipare e indirizzare le nuove skills in tempo utile potrebbe portare a un’enorme perdita sia economica che sociale per le imprese, gli individui e la società intera. La figura mostra la variazione del numero di impiegati, in positivo o in negativo, prevista per ciascun gruppo professionale nell’arco temporale dal 2015 al 2020.

 

Figura 1

Net employment Outlook by job family, 2015 – 2020
Source: Future of Jobs Survey, World Economic Forum.

 

Dal rapporto emerge come questa consapevolezza sia presente a livello delle imprese, ma anche che in molti casi non sia percepita come prioritaria in agenda. Secondo questa indagine, le barriere principali a un approccio più incisivo parrebbero essere le seguenti: mancanza di piena comprensione dei cambiamenti, limiti di risorse e pressione di profitti nel breve termine, mancanza di allineamento tra strategie di miglioramento della forza lavoro e strategie di innovazione. La figura sottostante mostra le barriere al cambiamento:

 

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Significance of barriers to change, industries overall
Source: Future of Jobs Survey, World Economic Forum.

 

Sembrerebbe, dunque, che manchi una visione strategica di medio-lungo termine in grado di adeguarsi ai cambiamenti in atto e proporsi attivamente sul nuovo mercato.

b) Differenze di genere: nel mercato del lavoro saranno le donne a subire maggiormente gli effetti “negativi” di questa rivoluzione, che porta a sommergere alcune professioni nelle quali sono le donne ad essere soprattutto impiegate a scapito di altre che saranno sempre più richieste nelle quali la presenza maschile è più forte. Nascerà il bisogno a partire dai sistemi formativi di favorire lo sviluppo di competenze delle donne per permettere loro di “reinventarsi” ed inserirsi senza difficoltà nel “nuovo” mercato del lavoro.

c) Aree geografiche: ricadute positive della rivoluzione si registreranno soprattutto in Paesi nei quali vi è e vi sarà una grande attenzione alla formazione dei lavoratori in settori destinati a produrre nuova occupazione (i Paesi dell’Asean, Messico, Stati Uniti e Regno Unito). Alcontrario, Turchia, Cina, India e Italia sono tra le grandi economie che richiederanno un maggiore necessità di formazione adeguata alle nuove esigenze del mercato del lavoro.

 

e l’Italia?

Dal rapporto si prevede che il nostro Paese registrerà un pareggio tra posti di lavori creati e posti di lavoro persi (circa 200.000 unità), con un risutato migliore rispetto ad altri paesi europei e occidentali come Francia e Germania.

 

2.2 Il ruolo dei sistemi educativi e formativi

 In un’epoca di grandi trasformazioni e conseguenti ripercussioni sul mondo del lavoro, il ruolo dei sistemi educativi e formativi appare essere fondamentale. I modelli educativi dovranno essere rivisti dai governi, al fine di adattarli alle esigenze del mercato del lavoro. Si renderà sempre più necessaria una stretta collaborazione tra governi, imprese (Public-Private Partnership) e education providers. Inoltre, per favorire la competitività di chi è già inserito da tempo nel mercato del lavoro, occorre incentivare l’approccio del lifelong learning e la riqualificazione della forza lavoro esistente, attraverso attività di formazione mirate a rispondere alle esigenze crescenti del mercato del lavoro, al fine di favorire il più possibile l’incontro tra domanda e offerta.

 È necessaria una transizione verso sistemi educativi che favoriscano la curiosità e la sperimentazione. Il focus dell’insegnamento dovrebbe spostarsi dall’imparare esclusivamente cose già conosciute all’esplorare nuove opportunità, identificando e anticipando i drivers del cambiamento.

Questi driver possono essere di natura demografica, socio-economica o tecnologica, come si può vedere dalla figura sottostante che mostra la tempistica prevista in termini di impatto sui lavoratori con una previsione fino al 2025.

 

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Drivers of change, time to impact on employee skills
Source: Future of Jobs Survey, World Economic Forum.

 

Facile a dirsi, ovviamente. Ma occorre tenere presente che l’enorme potenziale umano non è dato da una semplice somma delle conoscenze del passato, quanto piuttosto dalla capacità di apprendere con il fine di migliorarsi in futuro.

 Il ruolo degli attori pubblici e privati è fondamentale: la politica pubblica deve evolversi e trasformarsi a tutti i livelli (locale, regionale e nazionale), di concerto con i privati che, in alcuni casi, mettono a disposizione lo sviluppo tecnologico.

 Questa rivoluzione industriale e tecnologica porterà sempre più a richiedere laureati in materie scientifiche e ad investire nelle competenze dei lavoratori per affrontare esigenze in rapido mutamento.

 

Conclusioni

Per far fronte alle sfide che sono state aperte – e saranno aperte – con la quarta rivoluzione industriale – occorrerà che il mercato del lavoro si evolva. Fondamentale sarà il sostegno da parte di tutti gli attori territoriali, a tutti i livelli.

Il rapporto presentato in occasione del WEF ci conferma che una maggiore integrazione tra rivoluzione “industriale” e mondo del lavoro si potrà realizzare soprattutto attraverso un investimento nel sistema formativo di coloro che lavorano in gruppi professionali che risentiranno sempre più dei cambiamenti tecnologici (e non solo) in atto, per cui il reskilling dovrebbe occupare una posizione sempre più rilevante lungo tutto l’arco della vita lavorativa, come mostrato dalla figura sottostante, in un’ottica di life-long learning.

 

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Future Workforce strategies, industries overall
Source: Future of Jobs Survey, World Economic Forum.

 

Altri fattori che potranno favorire questo processo saranno una maggiore propensione alla mobilità ed alla job rotation. La collaborazione tra enti di formazione ed accordi pubblico-privato (Public-Private Partnership) saranno quindi fondamentali per garantire lo sviluppo economico e sociale del territorio, di particolare urgenza in un’epoca come quella attuale.

 

Parola chiave sarà la capacità di gestione del cambiamento.

 

 

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About Micol Forbice

È laureata in Economia, indirizzo Sviluppo Locale. Ha lavorato presso diverse organizzazioni e istituzioni internazionali (Organizzazione Internazionale del Lavoro delle Nazioni Unite, ITC-ILO, Commissione Europea) ed enti di sviluppo locale. Attualmente lavora in ETF (European Training Foundation), agenzia decentrata del’Unione Europea, dove si occupa di progetti di sviluppo della formazione professionale in alcuni Paesi extra-UE.

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