L’alta sartoria partenopea fra tradizione e internazionalizzazione

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Facciamo un gioco: chiudete gli occhi e immaginate di entrare in una sartoria. Non sentirete alcun rumore, ogni ago fora, attraversa ed esce dai tessuti in totale silenzio. Disegnate adesso con lo sguardo le linee di un telaio e noterete una donna più anziana che lavora nella penombra; di fronte una giovane raccoglie il filo, in piena luce. Sullo sfondo Atena, la dea della bellezza, e Aracne, il tessitore per eccellenza. Sognate, ma come spesso accade in tutte le opere di Velázquez, nulla sembrerà falso; realtà e mito si fondono in un cambio di scena degno del miglior cinema d’autore. Provate adesso a pensare a tutte le opere che più vi hanno emozionato e raccoglietele nella mente fino a formare la vostra collezione privata e personale. Il gioco dell’invenzione d’un museo ideale, un luogo dove le muse possano seguire l’ipotesi d’un idea; un museo necessariamente concreto: ci si cammina, anche se solo virtualmente. [Philippe Daverio, Il museo immaginato, 2011.]

 

Spinto dalla curiosità, dalla passione e da un gusto originale, Philippe Daverio reinventa così la sua personale collezione d’arte, presentando i maggiori capolavori della pittura, dal Trionfo di Bacco alla Venere allo specchio di Velázquez appunto, ma anche la Pala di Brera di Piero della Francesca e il Giuramento degli Orazi di David, così come la nascita di Venere di Botticelli e la Canestra di frutta di Caravaggio. Alcune opere famose, ma anche altre sconosciute ai più, danno la possibilità di apprezzare lo sguardo ironico e penetrante dell’autore che le racconta sia in relazione al loro contesto che evidenziandone i particolari.

Un famoso aneddoto, spesso raccontato da Daverio proprio in occasione della presentazione del suo libro “Il Museo Immaginato”, ben si collega all’arte e alla maestria dei capi della Sartoria Napoletana riuniti al PAN sabato scorso (14 c.m.), grazie ad un prestigioso evento organizzato dalla Bocconi Alumni Association. L’autore si trovava nel salotto di un ricco Emiro: ricche stoffe incorniciavano le finestre, preziosi tappeti ammorbidivano il passo, quadri, due orologi a pendolo che leggermente sfioravano le pareti intonacate e uno mobile, che a prima vista sembrava risalente al periodo di Luigi XIV. Contagiato dall’incredulità di San Tommaso, sapientemente rappresentata da Caravaggio agli inizi del 1600, l’autore prima con una carezza e poi con un pugno, si accorse che quel mobile non era né di rovere, né di faggio, né di noce, e sicuramente non era un manufatto pluricentenario, ma banale e commerciale legno truciolato.

 

In sartoria, come in pittura, fondamentali sono le mani. Essenziale è il tatto. Pennello e colore, ago e filo, trasformano una tela e un tessuto in emozione, in un capolavoro, in arte, proprio grazie al tatto e alle mani.

 

Sabato mattina, gli alumni napoletani che hanno studiato alla Bocconi di Milano, hanno organizzato un evento per onorare la rigorosa tradizione artigianale e le audaci capacità imprenditoriali di chi, con il proprio lavoro, ha fatto viaggiare i più prestigiosi capi della Sartoria Napoletana in tutti i continenti.

 Anche il Financial Times ha pubblicato un popolare articolo su come l’alta Sartoria Napoletana sia tra le migliori al mondo, e vesta i più illustri uomini del nostro tempo.

All’evento, cui sono intervenuti insieme piccoli e grandi imprenditori del nostro territorio, hanno partecipato giovani emergenti come Fabio Attanaglio − che con il proprio brand di occhiali The Bespoke Dutes ambisce ad eguagliare Luxottica − e i cofondatori di Briganti Collezioni, che riciclando preziose sete producono papillon sartoriali interamente cuciti a mano. Tra i big invece, Raffaele Barba, il quale ha annunciato che il suo obiettivo non è aumentare la produzione ma diffondere ancora di più i propri capi in tutto il mondo. Barba a Napoli fattura 15 milioni di euro, dà lavoro a 110 dipendenti e produce, tra gli altri, 680 capi di camiceria al giorno, 40mila pantaloni e jeans e 20mila pezzi di maglieria l’anno, esportando in tre continenti; Eduardo de Simone, terza generazione di Edesim Sartoria Napoli, Damiano Annunciato, direttore generale di Sartoria Dalcuore, e come special guest Maurizio Marinella, testimone del valore, del fascino e dell’indiscusso potenziale della nostra storia sartoriale.

La piccola bottega di Marinella della Riviera di Chiaia, fondata da nonno Eugenio nel 1914 è da sempre un piccolo spicchio di Inghilterra; quasi tutti i tessuti, infatti, con disegni in esclusiva vengono importati dal Regno Unito, e l’azienda che vende in tutto il mondo la manodopera partenopea riesce a rinnovare il proprio campionario con nuove fantasie ogni dieci giorni. Maurizio Marinella ogni giorno, dalle sei del mattino, accoglie i propri clienti con caffè e sfogliatella, riuscendo a offrire ancora quella straordinaria atmosfera di farmacia di paese descritta da Matilde Serao in occasione della loro apertura più di cent’anni fa. La conduzione di Marinella diventa l’emblema di un attaccamento all’attività di famiglia, ai clienti e al prodotto, un’abnegazione che esprime un’ottima pratica locale di etica del lavoro da esportare.

 

La conduzione di Marinella diventa l’emblema di un attaccamento all’attività di famiglia, ai clienti e al prodotto, un’abnegazione che esprime un’ottima pratica locale di etica del lavoro da esportare.

 

Da Luchino Visconti ad Aristotele Onassis, Bill Clinton, Re Juan Carlos e il principe Alberto di Monaco, Agnelli, Berlusconi, Cossiga, ieri, e manager della City di Londra, attori e rock star, uomini di classe asiatici e americani, oggi, il “nodo d’autore Marinella” ha fatto, e sta facendo, il giro del mondo. Ci sono negozi di Marinella a Londra, Lugano, Milano, Tokyo e Hong Kong.

Il capitano dell’industria tessile napoletana può essere il motore propulsore di un settore che sta conquistando sempre di più il mondo, anche con il suo progetto, per ora ancora un sogno nel cassetto, di realizzare a Napoli l’ Università dell’Artigianato e delle eccellenze locali. Solo in questo modo, il Made in Naples − che già supera i confini e arriva quasi ovunque − può diventare realmente globale, e dare lavoro a giovani napoletani che sempre più spesso sono costretti a lasciare la propria città.

In una città che, purtroppo, registra tassi di disoccupazione del 25% − con punte del 60% per i giovani − tra i numeri più preoccupanti d’Europa, paradossalmente mancano artigiani esperti e giovani che con dedizione e sacrificio, ma anche con tanta umiltà e presa di coscienza, creino massa critica e facciano impresa. Bisogna fare “impresa”, non solo economicamente parlando, ma nel senso etimologico del termine, perché l’impresa è “un assunto fondato su un programma notevole o particolarmente impegnativo”, quasi eroico. E Napoli, in capo all’Italia, deve avere la forza per simili gesta puntate sulla valorizzazione del territorio: per diventare globale, investire sulla formazione dei giovani, creare scuole per l’artigianato, scommettere sulla bellezza non solo del settore moda, ma anche dell’agroalimentare, della cultura, del turismo e del Made in Italy, come sta iniziando ad accadere in alcune zone del centro e del nord-est Italia.

 

Napoli, in capo all’Italia, deve avere la forza per simili gesta puntate sulla valorizzazione del territorio: per diventare globale, investire sulla formazione dei giovani, creare scuole per l’artigianato, scommettere sulla bellezza non solo del settore moda, ma anche dell’agroalimentare, della cultura, del turismo e del Made in Italy

 

 

Per approfondire

Philippe Daverio, Il museo immaginato, Rizzoli, 2011.

 

Videografia

Sartoria Napoletana.

About Cosimo Abbate

Consulente economico e finanziario, è Dottore di Ricerca in Scienze Economiche. Ha collaborato per la FAO, le Università “Parthenope” e “Federico II” di Napoli e l'Université de Lyon II, dove ha svolto il post-doc. I suoi temi di ricerca riguardano la Sostenibilità Economica e Agroalimentare, i Mercati Finanziari, la Finanza Comportamentale e le Asimmetrie Informative nel Mercato del Lavoro

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