Lancio del CED – Renato Briganti, Professore di Diritto Pubblico e Diritto Ambientale per l’Università di Napoli Federico II, già professore di Diritto della Cooperazione

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Buongiorno a tutte e tutti.

Lasciatemi iniziare con gli auguri ai ragazzi del CED per questo battesimo di oggi, per il lavoro svolto e averci fatto incontrare con il Professor Balletta, persona squisita, cara e di qualità. È importante oggi trovare degli scrutatori di orizzonti”, persone che guardino al futuro e cerchino di capire cosa succederà domani.

Non è scontato che siano tutti ragazzi come Andrea, Gianluigi, Paolo, ai quali rinnovo i miei auguri. Il convegno “QUALE FUTURO? Scrutatori di nuovi e antichi orizzonti” è stato organizzato da Arturo Paoli all’età di centouno anni. Lui aveva nella forma mentis proprio questa proiezione sul tentativo di comprendere il futuro: come si fa a comprendere il futuro? Si studia il passato – a breve toccherò questo punto – e si intuiscono i segni dei tempi. Proverò quindi ad affrontare questi due temi, provando a sintetizzare sperando di non correre il rischio della superficialità, dato il poco tempo a disposizione.

Il primo argomento è “studiare il passato”, l’ha detto prima in modo egregio il Professor Balletta. Attraverso lo studio della storia, il passato acquista grande importanza, perché ci aiuta a capire quello che succede oggi: senza lo studio della storia, non saremmo in grado di comprendere. I nostri studenti, che adesso non hanno più l’esame obbligatorio di storia economica, avranno una capacità minore di decodificare la complessità attuale. Vero è che chiunque, dopo il pensionamento del Professor Balletta, avrebbe trovato difficoltà nel sostituirlo nella sua materia, però è importante che si cominci a capire il presente e immaginare il futuro, attraverso lo studio della. Questo è il primo step fondamentale.

Il secondo step è “intuire i segni dei tempi”. Gli uomini e le donne si concentrano in modo eccessivo sui segni del tempo, climatici; più che concentrarci sui segni del tempo, dovremmo leggere i segni dei tempi. Questi segni sono presenti nei tre assi che avete già visto e sicuramente affrontato nelle vostre ricerche, e che il CED si ripropone di analizzare in futuro.

Il primo segno dei tempi è la finanziarizzazione dell’economia. L’economia reale – dal latino res, cose – serviva per migliorare la qualità della vita delle persone; la progressiva finanziarizzazione, in altre parole il distacco dalla vita delle persone e dalla qualità delle cose che si compravendono, cioè il fatto che si possano fare soldi con i soldi, è un segno dei tempi. Ci deve far capire dove si sta andando, e non credo sia la direzione giusta. Passiamo a un segno dei tempi nel campo del lavoro. Il lavoro è diventato una variabile in un grafico. Le risorse possono essere materiali o umane. Risorse umane. Eppure siamo persone, uomini e donne, non una risorsa umana da mettere in un grafico. E il lavoro è diventato una variabile da abbattere, non il motivo per cui serve l’economia, cioè dare lavoro e dignità alle persone. La nostra costituzione utilizza una parola bellissima: dignità. Tuttavia, ecco che il lavoro è diventato una voce da abbattere. In che modo? Andando in altri paesi: decentramento produttivo. Ci si sposta in luoghi dove è possibile pagare meno gli uomini e le donne che lavorano.

Secondo panel: lavoro, finanza e sostenibilità. Si è parlato di imprese sostenibili: c’era un bel libro quando ero ragazzo, “Futuro sostenibile”, scritto da Wolfgang Sachs, direttore del Wuppertal Institut; questo istituto studiava il futuro e sosteneva che il futuro o è sostenibile, oppure non lo è. Quando devo tradurre agli studenti di Diritto dell’Ambiente il concetto di sostenibilità, dico che una cosa è sostenibile quando la possiamo sostenere noi e il pianeta che abitiamo, potendola consegnare alle future generazioni. Se un’impresa non è consegnabile, ha prodotti che non si possono sostenere, non sopravvivrà: o si è sostenibili, o non lo si è.

La sostenibilità ci riporta al tema dei beni comuni. A Genova, nel 2001, ne discutevamo con i piccoli della Terra. Mentre i sette/otto grandi Paesi del pianeta si riunivano in stanze chiuse, blindate e militarizzate, noi ci riunivamo nella piazza dei beni comuni con le associazioni, le Ong, ManiTese, Amnesty International e tanti altri. I piccoli studiosi della Terra, tanto piccoli non erano: c’era il Premio Nobel guatemalteca Rigoberta Menchú Tum, c’era Muhammad Yunus, che poi vincerà il Nobel per la pace, non per l’economia. Sarebbe stato rivoluzionario darglielo per l’economia. Insomma, c’erano piccoli grandi studiosi, ma all’epoca nessuno ci prese in considerazione.

Segno dei tempi, i beni comuni. Ma come trattiamo, e stiamo trattando, i beni comuni? Male. Lunedì scorso il Consiglio Regionale ha approvato la legge regionale di riordino del servizio idrico integrato, calpestando violentemente la volontà del popolo che il 12 e 13 Giugno 2011 aveva espresso che l’acqua è bene comune. Invece, la legge regionale sostiene che è una merce come le altre, e può essere privatizzata. Domattina alle ore 10.30 ci sarà una manifestazione a Piazza Matteotti per tutti gli uomini e le donne che reputano l’acqua un bene comune, per protestare in modo pacifico e non violento, ma determinato, perché questa legge venga abrogata. Altrimenti, si andrà in Corte Costituzionale, nella speranza che sia dichiarata incompatibile con la costituzione.

Il tema dei beni comuni lo studiavamo in pochi. Dal 2001 in poi abbiamo convinto molti giuristi, uno di questi è Stefano Rodotà, il quale ha costituito una Commissione Parlamentare che ha proposto di inserire nel Codice Civile, oltre ai beni privati e i beni pubblici, anche i beni comuni. Abbiamo poi convinto un’economista, un’economista che si chiamava Elinor Ostrom, prima donna della storia che nel 2008 ha vinto il Premio Nobel per l’economia portando una tesi sui commons, i beni comuni, che finalmente diventavano beni interessanti anche dal punto di vista economico, non solo per i giuristi. Arriviamo al 2015. Ci hanno seguito ricercatori, studiosi, giuristi, economisti, ma i capi di Stato e di governo ci ignorano, tranne uno citato all’inizio dal Professor Balletta: Papa Francesco è un capo di Stato, e la sua enciclica sui beni comuni, sul creato, è davvero ciò che sosteniamo noi da quattordici anni in modo laico. La si può chiamare salvaguardia del creato o tutela giuridica dei beni comuni, ma si sta parlando del buen vivir, di quella nuova frontiera che non è più antropocentrica, cioè concentrata soltanto ottusamente sulle merci compravendute dall’uomo, ma è basata sulla tutela e il rispetto di quei beni che in America latina chiamano la Pacha Mama, la Madre Terra che ci genera tutti e a cui tutti dobbiamo riportare rispetto e sostenibilità.

Questa è la rotta del futuro, che gli scrutatori di orizzonti dovrebbero studiare e analizzare attraverso lo studio della storia e dei segni dei tempi attuali. La domanda conclusiva da porsi riguarda non solo quale sia la rotta sostenibile, ma anche chi decide la rotta: è su questo che dobbiamo interrogarci sia come giuristi, sia come cittadini. Anticamente si diceva che a decidere la rotta è lo Stato apparato, e in misura minore anche lo Stato comunità, tutti noi. La FAO, se ne parlava prima, era uno dei decisori. Chi erano i finanziatori della FAO? I governi. Oggi il primo finanziatore della FAO è un privato, non uno stato: la fondazione di Bill Gates. E così il terzo, il quarto, a cascata. La politica sull’olio di palma la farà, all’interno della FAO, un rappresentante della Ferrero, magari bravissima persona ed eccellente ricercatore, in buona fede e con valori etici, che tuttavia farà gli interessi di altri decisori che non sono né gli stati, né i cittadini.

Questi decisori sono diventati straripanti: quindi, dobbiamo controllare noi, i cittadini. Dobbiamo impegnarci in prima persona, perché non basta chiedere politiche di sostenibilità formali ai capi di stato e di governo, ma dobbiamo esigerle e applicarle anche noi cittadini, sia singolarmente, sia aggregati in associazioni, centri di ricerca, Ong, botteghe del commercio equo, comitati civici spontanei sui nostri territori. Quindi, per un futuro sostenibile, occorre lo sforzo di tutti: e in questa direzione credo che vada anche lo spirito del CED, che oggi inauguriamo. Grazie.

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