SviMez: “Nel Mezzogiorno depauperamento economico e sociale potrebbe creare sottosviluppo permanente”

Bagnoli

La fotografia scattata dalla SviMez sulla situazione economica del Mezzogiorno è allarmante: l’eredità della crisi economica iniziata nel 2008 è un divario crescente tra il Centro-Nord e il Sud Italia non solo a livello economico, dove il PIL e l’occupazione hanno sperimentato cadute senza precedenti, ma anche a livello sociale, dove l’aumento della povertà dei flussi migratori in uscita e un netto calo demografico lasciano poche speranze ad una ripresa economica, con una crisi che potrebbe risultare permanente.

Il 30 luglio 2015 sono state presentate le anticipazioni del Rapporto annuale della SviMez, l’Associazione per lo Sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno, che si propone di rappresentare la situazione economica e sociale nel Mezzogiorno e catturare le profonde trasformazioni che hanno investito il Sud Italia durante la più pesante crisi economica dal dopoguerra. La crisi, che dura ormai da sette anni, lascia un paese più diseguale, con un divario tra Centro-Nord e Sud molto più accentuato: se il resto del Paese sta pian piano trovando la via d’uscita verso la crescita, nel Sud Italia si assiste a un processo di “desertificazione” dell’apparato economico che sembra sia diventato strutturale, non legato esclusivamente al ciclo economico recessivo, che ha spazzato via sia le imprese inefficienti, ma “anche imprese sane e tuttavia non attrezzate a superare una crisi così lunga e impegnativa”. Le cause del depauperamento del sistema produttivo sono molteplici: la forte riduzione degli investimenti ha diminuito la capacità industriale, ha ridotto notevolmente la competitività; la riduzione degli investimenti pubblici e la caduta della domanda interna sono i principali fattori della recessione, accompagnati da fattori strutturali come il depauperamento delle risorse umane, imprenditoriali e finanziarie che potrebbero trasformare una recessione ciclica in una condizione di sottosviluppo permanente.

La crisi, che dura ormai da sette anni, lascia un paese più diseguale, con un divario tra Centro-Nord e Sud molto più accentuato: se il resto del Paese sta pian piano trovando la via d’uscita verso la crescita, nel Sud Italia si assiste a un processo di “desertificazione” dell’apparato economico che sembra sia diventato strutturale.

 

 

Prolungata crescita negativa

Nel 2014, nonostante l’Italia abbia registrato una crescita dello 0,8% in termini nominali, in termini reali la crescita del paese è ancora negativa (-0,4%), rappresentando l’unico grande paese europeo che ha registrato un segno negativo. Nel complesso, l’economia italiana mostra segnali di ripresa, grazie tra l’alto all’incremento della domanda straniera, lasciando però escluso il Mezzogiorno: il calo del prodotto interno lordo è stato del -2,7%, dato estremamente negativo se comparato al -0,2% del resto del paese. Complessivamente, il Mezzogiorno ha perso dall’inizio della crisi, nel 2007, il 13% del suo prodotto interno lordo, quasi il doppio della flessione nel Centro-Nord (-7,4%).

 

Crollo degli investimenti e consumi

Dall’inizio della crisi la caduta dei redditi e dell’occupazione ha determinato una flessione dei consumi: dal 2008 al 2014, il consumo delle famiglie è diminuito del 13,2%, ben più del doppio della flessione registrata nel resto del paese, pari al 5,5%. Dato estremamente preoccupante è la riduzione dei consumi alimentari, che evidenzia l’incremento della povertà relativa. Nella stessa misura, anche gli investimenti hanno visto una riduzione in tutto il paese, ancora una volta accentuata molto più nel Mezzogiorno, dove gli investimenti fissi lordi sono diminuiti, dal 2008 al 2014, del 38% contro il calo del 27,1% nel resto del paese. Particolarmente rilevante per l’economia del Sud è stata la riduzione dei trasferimenti in conto capitale alle imprese pubbliche e private che tra il 2001 e il 2013 è scesa di 6,2 miliardi di euro, pari al -52%.

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Complessivamente, negli ultimi sette anni il Sud ha visto ridursi di quasi il 60% l’accumulazione di capitale industriale. La riduzione degli investimenti ha determinato una riduzione della produttività e quindi della competitività delle industrie del Mezzogiorno, incrementando la divergenza con il resto del paese e con i 28 paesi dell’Ue.

 

Dall’inizio della crisi la caduta dei redditi e dell’occupazione ha determinato una flessione dei consumi: dal 2008 al 2014, il consumo delle famiglie è diminuito del 13,2%, ben più del doppio della flessione registrata nel resto del paese, pari al 5,5%. Dato estremamente preoccupante è la riduzione dei consumi alimentari, che evidenzia l’incremento della povertà relativa.

 

 

Elevata disoccupazione, rischio povertà, flussi migratori in uscita e bassa natalità

I dati riguardanti l’occupazione, naturalmente, non sono più rassicuranti: delle 811.000 persone che hanno perso il lavoro tra il 2008 e il 2014, ben 576.000 sono residenti al Sud. Nel 2014, il tasso di occupazione nel meridione ha raggiunto il minimo storico dalle prime rilevazioni ISTAT nel 1977, evidenziando un mercato del lavoro già estremamente precario che ha assorbito interamente gli effetti della crisi. Particolarmente drammatica è la disoccupazione giovanile: tra il 2008 e il 2014, per i giovani l’occupazione si è ridotta in Italia complessivamente di oltre 1.900.000 unità, gli occupati tra i 15 e i 34 anni si riducono del 31,9% nel Mezzogiorno e del 26,0% nel Centro-Nord. Come riportato dal Direttore della SviMez Riccardo Padovani: “Tra i 15 e i 34 anni lavora solo un giovane su quattro e, per quanto riguarda le giovani donne, ne risulta occupata appena una su cinque”. Ne risulta un allarmante stato di povertà: dal 2011 al 2014 le famiglie che, nel nostro paese, possono essere definite povere in modo assoluto sono aumentate del 37,8% nelle regioni del Sud e del 34,4% risalendo nelle regioni del Centro-Nord; nel 2013, una persona ogni tre nel Mezzogiorno era a rischio di diventare povera, a fronte di una ogni dieci al Centro-Nord.

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Tra i 15 e i 34 anni lavora solo un giovane su quattro e, per quanto riguarda le giovani donne, ne risulta occupata appena una su cinque. Riccardo Padovani,  Direttore della SviMez

 

 

L’intreccio perverso tra crisi socio-economica e dinamiche demografiche

Il Mezzogiorno ha perso il primato della fecondità femminile, scendendo nel 2013 a quota 1,31 figli per donna, inferiore al tasso di fecondità del Centro-Nord: i numeri sulla natalità hanno toccato il loro minimo storico dall’Unità d’Italia. A rendere il quadro più drammatico sono i dati sui flussi migratori: tra il 2001 e il 2014 sono emigrati dal Sud verso il Centro-Nord 1.667.000 meridionali, a fronte di un rientro di 923.000 persone, con un saldo migratorio netto di 744.000 unità. Di questa perdita di popolazione il 70%, ossia 526.000 unità, riguarda la componente giovanile, di cui poco meno del 40% laureati. Secondo le previsioni Istat, il Sud arriverà a perdere 4,2 milioni di abitanti − oltre un quinto della sua popolazione attuale – entro i prossimi cinquant’anni. Padovani, in occasione della conferenza stampa di anticipazione del Rapporto, ha posto l’accento sulla gravità della situazione: “Tale riduzione riguarderà da qui al 2065 tutte le classi di età più giovani del Mezzogiorno, proprio quelle su cui si dovrebbe far leva per riprendere un cammino di sviluppo”.

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Secondo le previsioni Istat, il Sud arriverà a perdere 4,2 milioni di abitanti − oltre un quinto della sua popolazione attuale – entro i prossimi cinquant’anni.

 

 

Un futuro difficile

Il quadro è estremamente preoccupante e allarmante per il futuro. È difficile immaginare una controtendenza nell’immediato futuro. Al contrario, le trasformazioni economiche e sociali, la “desertificazione industriale” e quello che il rapporto definisce uno “tsunami demografico”, lasciano prevedere uno scenario allarmante per il Mezzogiorno italiano. Senza un piano d’investimenti globale e massiccio, senza un intervento profondo che riesca a invertire la tendenza migratoria e a ripristinare la fiducia nelle famiglie, è probabile che il Sud Italia sia condannato a rimanere escluso dalla crescita economica del resto del paese e del resto dell’Unione Europea. Un processo che sembra tendere verso la divergenza piuttosto che alla convergenza con le altre economie.

 

Senza un piano d’investimenti globale e massiccio, senza un intervento profondo che riesca a invertire la tendenza migratoria e a ripristinare la fiducia nelle famiglie, è probabile che il Sud Italia sia condannato a rimanere escluso dalla crescita economica del resto del paese e del resto dell’Unione Europea.

 

 

Per approfondire

Rapporto SVIMEZ 2015

Foto: Bagnoli – ex Italsider – Altoforno, panoramica (di Bagnolifutura)

About William Paris

Laureato in Discipline Economiche e Sociali all'Università Commerciale L. Bocconi, lavora per l'Autorità Europea dei Mercati Finanziari (Divisione Economia). Ha lavorato presso la Banca Europea degli Investimenti (Dipartimento Studi Economici) e per la Commissione Europea (Direttorato Affari Economici e Finanziari). Collabora con il Center for Economic Development & Social Change.

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