Comunità, Innovazione e Immaginario: L’etica della rete per una performance biopolitica

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Un manifesto biopolitico al centro di una conversazione tra un filosofo e una cyborg

 

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Una performance, un manifesto biopolitico intorno a una storia di malattia e una prospettiva di cura che si fa occasione per ripensare e riprogrammare il fare società e l’essere umani. Una conversazione sul tema tra un filosofo, Aldo Masullo, e una cyborg, Maria Venditti, nella compagine campana degli incontri di Salvatore Iaconesi e Oriana Persico, coautori de La Cura.

 Un dialogo aperto con gli studenti del Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università degli studi di Napoli Federico II, nell’ambito del ciclo di seminari Bit Generation coordinato da Alex Giordano e Lello Savonardo.

 

COS’È LA CURA?

“Quando nel 201La Cura2 Salvatore Iaconesi si è ammalato di cancro al cervello ha deciso di lasciare l’ospedale per avviare La Cura, una performance globale per riappropriarsi del proprio corpo e della propria identità creando una cura partecipativa open source per il cancro.

 Milioni di persone da tutto il mondo hanno risposto.

 

Ora La Cura diventa un libro e un movimento globale: il cancro è la metafora della perdita di senso della nostra società contemporanea, e dell’unica cura possibile: quella nella società, nella ricchezza della diversità e nella possibilità di ritrovare senso nelle reti di relazioni tra esseri umani. (La Cura)

 

Queste, le parole di apertura della piattaforma online creata da Salvatore Iaconesi, ingegnere, hacker, artista e TED fellow che, caricando in rete i propri dati clinici a partire da 2012, ha innescato un processo di partecipazione intorno alla sua esperienza di malattia, utilizzandola come sorgente di riflessione, ricerca e innovazione sociale.

La Cura dunque non è (solo) un libro, ma un manifesto biopolitico, una performance ubiqua e open source.

Il nonlibro de La Cura è un diario, un’autobiografia, il racconto dell’esperienza vista e vissuta dai due punti di vista di Salvatore e della sua compagna, “Madamigella” Oriana. A questo nucleo centrale s’intersecano, di capitolo in capitolo, livelli di ricerca multidisciplinare − toccando temi che vanno dall’evoluzione della medicina alle tendenze delle nuove tecnologie, dagli open data al dibattito sulla privacy e sulla spettacolarizzazione dell’informazione − e Workshop che rinviano con appositi link a sezioni già attive in piattaforma alle quali poter contribuire.

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Riportando le parole di una delle più pregne e accurate recensioni del nonlibro, quella scritta dal Professore Giorgio Cipolletta per la Rivista di Scienze Sociali:

 

«La Cura diviene […] spazio di mutazione variabile, una zona temporanea autonoma (TAZ), lato luminoso del paesaggio, dove l’ecosistema remixa differenze molteplici per addestrare il nostro sguardo verso un nuovo senso estetico, possibile, sorgente di conoscenza e coscienza, in cui perfino le rovine sono linfa vitale per uno spazio emergente, emersivo, dove ogni microstoria compone una macrostoria planetaria e nuove sensibilità rinnovate.

La Cura diviene tattica che sovverte la strategia. La Cura è un toolkit, una cassetta per gli attrezzi, un bene comune, una risorsa aperta. La Cura è relazione e connessione, interfacce sfacciate che trasformano la percezione delle forme […]. Una performance partecipativa biopolitica, dove ciò che si valorizza sono le emozioni, i linguaggi, le relazioni umane, le storie e la loro complessità. Questa in-credibile perfomance sta dentro a quella soglia tra salvezza (trovare una forma di cura) e desiderio di umanità, di immaginari e di tempi.

Trasformare il cancro in un’opera d’arte è l’atto di r-esistenza immenso e sublime, inserendo la malattia in un contesto più ampio. Una Cura peer-to-peer ecosistemica, simile alla vita. La Cura ha dato la possibilità di far esplodere la diga affinché qualsiasi flusso di coscienza potesse liberarsi, eXsistere.

La Cura è questo viaggio nella rottura dei codici, come atto biopolitico. La Cura è un atto poetico rivoluzionario, […] …è solo l’inizio di un’incredibile sfida e ci sono tutte le basi per continuare a viaggiare in questa nave indisciplinata oltre ogni paura, per una vita rinnovata.»

 

Possiamo cambiare il significato della parola “cura”. Possiamo trasformare il ruolo della conoscenza. Possiamo essere umani. ( La Cura)

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PERCHÉ UN FILOSOFO?

Una lettura illuminante, fatta in tempi e luoghi estranei all’evento in questione, ha affrontato lucidamente quella che sembra essere un’esigenza comune dell’epoca in cui siamo immersi, e che mette in luce straordinariamente il ruolo e il bisogno del far filosofia oggi.

Nel paper “Innovazione e domanda di consapevolezza: la filosofia come “dispositivo” di risposta alla ipercomplessità” Piero Dominici invocava una sorta di “diritto alla filosofia” da intendere come diritto alla consapevolezza, o meglio, alla capacità di riflettere, analizzare criticamente ed elaborare pensiero.

 

“La domanda di filosofia è tornata straordinariamente forte proprio per quel bisogno insopprimibile di ridare senso ai vissuti, alle biografie, alle storie di vita; ma anche ad una realtà caotica, confusa, indeterminata nella quale la condotta morale e quella conoscitiva hanno smarrito i tradizionali percorsi codificati.”

 

Ne La Cura, emerge in modo chiaro questa esigenza di rendere abilitante la propria esperienza situata, in modo da attingervi per produrre nuove codificazioni che possano generare  un immaginario rinnovato. Ciò è reso ancora più necessario dalla presa d’atto di vivere immersi in un contesto che Dominici ha definito:

 

“società ipercomplessa”, caratterizzato da “oggetti di studio” e processi che sono di fatto “sistemi” e non semplici “oggetti” e che, come tali, chiedono di essere analizzati in una Prospettiva sistemica”. Il “diritto alla filosofia” si configura quindi come “antidoto, da una parte, alla “reclusione” dei saperi negli stretti (e sterili) ambiti disciplinari e, dall’altra, come dispositivo di risposta a quello che ho voluto chiamare “società asimmetrica”, caratterizzata da architetture, non soltanto tecnologiche, aperte ma da reti sociali sostanzialmente chiuse […] da una rigida stratificazione nella quale la possibilità di accedere, condividere ed elaborare informazioni/conoscenze” mette in discussione “i principi stessi della cittadinanza (globale) della democrazia”.

 

Dominici afferma, in conclusione, che “Occorre un ripensamento del contratto sociale e delle ragioni profonde che rendono possibili i sistemi e il legame sociale stesso e che, parafrasando Jurgen Habermas, potremmo vedere anche come sistema di processi di argomentazione sensibile alla verità.”

Una vera e propria missione, questa appena focalizzata; e Aldo Masullo, esponente della pratica filosofica presente all’incontro-dialogo tenutosi intorno al nonlibro-evento de La Cura, non poteva incarnarla in modo migliore. Per Masullo, la filosofia è «saper assaporare i sapori della vita, gustare a fondo i sensi vissuti, elevare i sensi sensibili a sensi ideali e cogliere nei sensi ideali la possibilità dei sensibili, è la “sapienza del patico” ovvero, se si ricalca interamente l’etimo greco, è la “patosofia”» (Gli anni ottanta e novanta: gli studi su senso, tempo e paticità).

Nel corso dei suoi studi, la riflessione sviluppata da Masullo nelle sue opere ha indagato i fertilissimi e suggestivi ambiti della fenomenologia e dell’intersoggettività. Il filosofo rintraccia proprio in quest’ultima il fondamento dell’umano. Nell’analizzare i processi in base ai quali si costituisce l’identità di sé e della realtà che abitiamo, egli individua nell’originaria struttura intersoggettiva il fondamento del mondo umano. Il fondamento è la comunità.

 La soggettività, in un contesto così delineato, emerge dal pensiero di Masullo come una forma particolare di cambiamento, un generatore di differenze. L’uomo, a differenza degli altri esseri viventi, avverte i cambiamenti del mondo esterno solo in relazione al proprio feedback. Questo avvertimento − il «senso» − è l’indice della soggettività.

Masullo distingue inoltre la formula della conoscenza da quella della cura. “La conoscenza è la dimensione orizzontale dell’esistenza. Essa guarda alla universalità. Mentre la cura ne è la dimensione verticale. Essa invece guarda alla unicità-identità, ai vissuti da assaporare e da sublimare in valori da condividere.” (Aldo Masullo, Paticità e indifferenza, coll. Opuscula, Il Nuovo Melangolo, 2003).

 

Maria Venditti

CHI È UN CYBORG?

Nessuna pretesa fantascientifica, nessuna creatura o creazione venuta da lontano. Il cyborg qui evocato è nato come provocazione e costrutto immaginifico e metaforico ripreso e generato in studi di genere femministi della studiosa Donna Haraway in particolare, ma con valenza estraibile dall’ambito di riferimento e mutuabile per giungere a una riflessione più ampia sul nostro modo di costruire la conoscenza e articolarla.

 Contro ogni possibile istituzione dualistica del pensiero, che vede una presunta naturalità dell’uomo contrapposta a una estranea e invasiva tecnologia, l’esperienza di vita cyborg di Maria Venditti − che vive muovendosi su una sedia a rotelle elettronica − è la testimonianza palese non solo di uno sconfinamento e un’ibridazione particolare, soggettiva, ma anche di una proiezione che si fa metafora della pervasività e dell’apporto della componente tecnica e tecnologica nella vita di ognuno, con tutto ciò che consegue  nell’ambito del discorso etico e bioetico.

 

«Il cyborg rappresenta la metafora di nuove identità politiche, nuove soggettività – fratturate, liminali, nomadi − di costruzione dell’umano imperniate sul cedimento del limite (uomo/macchina, natura/tecnologia, ecc). Al cyborg il compito di indicarci una via di uscita dal labirinto di dualismi con cui per secoli ci siamo spiegati il mondo. Come prisma attraverso il quale produrre la diffrazione necessaria a destrutturare l’apparente compattezza del discorso scientifico, a sua volta inestricabile da altre trame di potere che ci costituiscono come soggetti (generi, degeneri, ingenerati, transgenici). Il cyborg abita un mutato regime spazio-temporale che è la condensazione, la fusione e l’implosione. L’implosione di tecnico, organico, politico, economico, onirico, e testuale. Abitiamo e siamo abitati da mappe di saperi, potere e prassi. Siamo tutti coinvolti e siamo tutti autori, non innocenti, di una produzione di sapere che dovrebbe suscitare il desiderio appassionato di fare concretamente differenza. Non siamo qui per leggere il mondo secondo una logica del dominio. Noi e il nostro sguardo siamo in relazione con il mondo che è un’entità attiva. Leggere queste mappe attraverso competenze ibride e multiple senza l’anelito totalizzante, risoluzioni cosmiche o narrative apocalittiche o di salvezza, è l’essere cyborg.» Donna J. Haraway, Testimone-modesta@femaleman-incontra-Oncotopo. Femminismo e tecnoscienza

 

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About Maria Venditti

Maria Venditti è laureanda in Sociologia, indirizzo economico e della ricerca sociale. Membro del direttivo di FISH Campania, lavora nel settore pubblico nel campo dell'assistenza sociale. E' attiva nel mondo dell'innovazione sociale, della cooperazione e dell'associazionismo, in particolare nella promozione delle politiche per le pari opportunità e l'empowerment.

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