Crescita economica, inquinamento e visioni sostenibili: un focus sulla Curva di Kuznets Ambientale

Fonte: Adam Cohn

Introduzione: la Curva di Kuznets Ambientale

Il rapporto tra sviluppo economico e sostenibilità ambientale è rappresentato al meglio dalla cosiddetta Curva di Kuznets Ambientale (CKA). Alla base della teoria c’è l’idea che la curva rappresenti un meccanismo secondo cui i paesi in via di sviluppo tendono ad inquinare maggiormente, suggerendo il raggiungimento di una fase matura e stabile di crescita economica come strumento essenziale per una diminuzione dei danni ambientali.

Difatti, secondo l’effetto della produzione di scala, ad una crescita del prodotto interno lordo (PIL) corrisponde un incremento dei livelli di inquinamento. Tuttavia, la crescita a lungo termine del PIL mitigherebbe l’effetto della produzione di scala muovendo l’economia verso attività produttive con un’intensità marginale di inquinamento minore, come il settore terziario. Al fine di compensare pienamente gli effetti negativi della produzione di scala sarebbe necessaria la produzione di beni inferiori  – teoria non plausibile – oppure un aumento delle importazioni, il che comporterebbe semplicemente uno spostamento geografico delle attività produttive e delle relative emissioni. L’incremento del reddito personale unito alla sua decrescente utilità marginale, e al crescente costo marginale sociale del danno ambientale, rendono la società e i consumatori propensi a pagare prezzi più elevati per l’abbattimento delle emissioni.

Tale propensione a un approccio più responsabile si manifesta nel potenziamento della legislazione ambientale e nell’adozione di tecnologie e risorse più ecosostenibili, cosi da aumentare la produttività di ogni singola unità di input e diminuire la sua intensità di emissione.

Secondo Torras & Bovce (1998), la decisione di correggere i fallimenti di mercato è guidata da una risposta politica catalizzata da un’opinione pubblica più consapevole e informata sugli effetti negativi dell’inquinamento sulla salute, così come dall’interazione tra tutte le parti sociali coinvolte, da governi e regolatori, fino alle imprese e alle ONG.

Figura 1 – La Tradizionale Curva di Kuznets Ambientale

Fonte: wikipedia.org

Presupposti e critiche

Studi teorici hanno dimostrato sotto quali condizioni è possibile osservare la CKA (cfr. Dasgupta et al 2002):

  • la costante o decrescente utilità marginale del reddito;
  • la crescente disutilità o danno marginale di inquinamento;
  • i crescenti costi di abbattimento delle emissioni.

Le critiche alla teoria della CKA sono molteplici, sia da un punto di vista metodologico sia per l’interpretazione dei risultati empirici (cfr Stern 2004, e Luzzati & Orsini 2009, per una revisione della letteratura a riguardo). Innanzitutto, esiste il rischio di promuovere un effetto “race to the bottom” negli standard ambientali tra paesi concorrenti: elevati standard ambientali, infatti, sono spesso percepiti come non sostenibili in quanto causa di deflusso di capitale e delocalizzazione di imprese in paesi con legislazione ambientale meno stringente. Come conseguenza, al fine di evitare ulteriori deflussi di capitale, i paesi sviluppati allenterebbero la loro legislazione ambientale.

Una seconda critica si riferisce alla presenza di nuovi inquinanti tossici, il cui reale livello di emissione può essere sottostimato. A questo proposito, secondo Luzzati & Orsini (2009), la natura multidimensionale del danno ambientale rappresenta un serio limite metodologico. Infatti, a seconda della variabile utilizzata per rappresentare il danno ambientale (per esempio CO2, SO2, NOx, etc.), esiste variabilità nel loro modello di emissione (relazione monotonica, inversa, crescente, decrescente, etc.). Studi empirici hanno adottato una curva di kuznets energetico-ambientale, utilizzando il consumo di energia come indicatore del danno ambientale. Questo al fine  di risolvere le criticità metodologiche dovute all’utilizzo di inquinanti con un modello di emissione eterogeneo (cfr.  Luzzati & Orsini 2009).

La terza critica, nonché la più severa, deriva da una mancanza di fondazioni econometriche nel modello CKA: adeguati modelli econometrici non hanno identificato il convenzionale andamento parabolico a U invertita della CKA. Solide evidenze empiriche (cfr. Stern, 2004 per una dettagliata revisione di letteratura a riguardo) dimostrano invece come a ogni livello di reddito pro capite i livelli di inquinamento crescano, mentre diminuiscano esclusivamente attraverso time fixed effects, ossia irrigidimento degli standard ambientali e adozione di nuove tecnologie.

La convenzionale forma a U invertita della CKA è quindi spiegata dall’elevato indice di crescita dei paesi in via di sviluppo, il quale supera gli sforzi nell’abbattimento delle emissioni, nell’irrigidimento legislativo e nell’uso di nuove tecnologie.

 

Lo scenario per i paesi in via di sviluppo

Nei paesi in via di sviluppo la convenzionale CKA sembra suggerire una politica del “cresci ora, poi ripulisci”, la quale non è più sostenibile nell’attuale contesto globale. Migliorare il rapporto tra le iniziali fasi di sviluppo economico e i costi ambientali implica delle sfide. Per esempio, i consumatori meno abbienti sono più interessati al proprio reddito data la sua elevata utilità marginale; le preferenze di consumo sono omotetiche, ossia emerge perfetta correlazione tra reddito di consumo e inquinamento; infine, il livello ottimale di abbattimento di emissioni è zero sino a quando un certo livello di capitale  – stock – è raggiunto (Dasgupta et al., 2002).

Adottare una legislazione ambientale efficace è un proposito impegnativo a causa del basso livello di priorità a essa attribuita nell’agenda politica, in cui obiettivi quali il raggiungimento di un sufficiente livello di servizi pubblici essenziali hanno la precedenza. Tuttavia, semplici linee guida possono essere adottate come punto di partenza (Dasgupta et al., 2002). Dato il limitato numero di sostanze inquinanti, una efficace strategia di controllo e targeting diventa essenziale indipendentemente dallo specifico contesto economico. Inoltre, appena le condizioni lo concedano, è necessario passare da una politica ambientale command-and-control a strumenti e incentivi di mercato.

Evidenze empiriche per i paesi in via di sviluppo mostrano come i danni ambientali siano affrontati a livelli di sviluppo economico relativamente bassi. Questo comporta inferiori costi ambientali nel percorso di crescita economica.

Difatti, analisi costi-benefici per Cina, India, Indonesia, Brasile e Africa Sub-Sahariana (cfr. Dasgupta et ., 1997; Calkins, 1994; von Amsberg, 1997), paesi ancora lontani dalla soglia di reddito tipica della CKA, mostrano come questi paesi stiano irrigidendo la legislazione ambientale grazie a incentivi economici legati alla loro adozione.

Figura 2 – Kg di CO2 emesse nel 2008 per ogni 10 US $ di PIL (PPA) per reddito

 

Fonte: economia finita.com; rielaborazione dati della Banca Mondiale

Lo scenario passato e futuro

Secondo parte della letteratura (vedasi Stern, 2004) nei decenni precedenti si sarebbe attestata una tendenza al miglioramento del rapporto tra crescita economica e qualità ambientale, collegato al processo di liberalizzazione e privatizzazione delle principali attività produttive. L’eliminazione dei sussidi pubblici ha promosso lo sviluppo di settori economici che riflettono un effettivo vantaggio comparato nella produzione, cambiando l’intera composizione settoriale dell’economia. Di conseguenza, la precedentemente produzione, altamente sussidiata e pesantemente inquinante, si sarebbe spostata verso paesi o complessi industriali con una produzione di scala più efficiente (Stern, 2004)

Dato che la popolazione urbana mondiale tenderà ad aumentare nei prossimi decenni, il ruolo delle città sarà di primaria importanza nel migliorare il rapporto tra sviluppo economico e inquinamento ambientaleA questo proposito, riprendendo un concetto espresso dall’attuale sindaco di Londra Sadiq Khan: “Se il diciannovesimo secolo è stato caratterizzato dagli imperi e il ventesimo dagli Stati-nazione, il ventunesimo secolo sarà ricordato per l’ascesa delle città e del progresso sociale, economico e ambientale che esse possono innescare” (The Economist, 2017). Le regioni e i comuni hanno assunto un ruolo maggiormente efficace nell’investire e implementare politiche innovative e comprensive nel campo delle infrastrutture pubbliche, come nel caso di produzione energetica, housing e trasporti, settori critici per lo sviluppo economico e sociale di un paese e responsabili di una larga porzione di emissioni.

Provvigioni e consumi centralizzati diminuirebbero il costo marginale di abbattimento delle emissioni in risposta a un crescente costo marginale del danno ambientale.

Figura 3 – Primi 20 paesi per emissioni di CO2 nel 2010 e percentuale di incremento di emissioni di CO2 nel periodo 1995 – 2010

Fonte: economia finita.com; rielaborazione dati CDIAC

Il ruolo del settore energetico nel definire il modello della CKA

Il settore energetico è al centro del dibattito sull’inquinamento ambientale globale a causa della produzione e il consumo di combustibili fossili e di elettricità. L’estrazione e le performance dei nuovi combustibili fossili non convenzionali, come le sabbie bituminose, sono in contraddizione con la tradizionale parabola della CKA. Infatti, questi combustibili fossili sono utilizzati in modo crescente anche da paesi economicamente più sviluppati  – vedasi il Canada – visto l’allettante ritorno economico, definendo una relazione monotona tra crescita economica e danno ambientale.

La soluzione sarebbe di creare altrettanti incentivi economici per l’adozione di energie rinnovabili attraverso la riforma dei sussidi energetici, così da allineare il settore al concetto di CKA.

Nel 2011, ad esempio, i sussidi internazionali destinati all’estrazione di combustibili fossili ammontavano a 523 miliardi di dollari, superando di sei volte i sussidi alle energie rinnovabili (Ben Jebli et al., 2016). A questo proposito, la politica energetica dell’UE mira a una fornitura di energia elettrica a emissioni minime e sussidi zero entro il 2020. L’obiettivo è di rendere la produzione di energia rinnovabile competitiva con i combustili fossili attraverso la riforma del sistema europeo di scambio delle quote di emissione di CO2 (EC, 2015). Evidenze empiriche per i 27 paesi Europei nel periodo 1996 – 2010 riportano un significativo impatto della produzione di energia rinnovabile nel costituire la tendenza della CKA, con i paesi a bassa intensità di rinnovabili che mostrano una forma a N della stessa curva (Lopez-Menedez et al., 2014).

Per concludere, nonostante le criticità emerse, la CKA rappresenta uno strumento per evidenziare lo stretto legame tra sviluppo economico e danno ambientale. Nel definire questo rapporto, politiche economiche, legislazione ambientale e progresso tecnologico giocano un ruolo centrale, in particolare nei paesi in via di sviluppo e nel settore energetico, tra i principali responsabili dell’inquinamento ambientale.

Bibliografia

Ben Jebli, Youssef and Ozturk (2016). Testing environmental Kuznets curve hypothesis: The role of renewable and non-renewable energy consumption and trade in OECD countries. Ecological Indicators 60, 824–831.

Busato and Maccari (2016). Canadian oil sand extraction: the nexus between economic development and environmental sustainability. The Extractive Industries and Society Volume 3, Issue 1, Pages 141-148.

Calkins (1994). Indonesia: Environment and Development. World Bank.

Dasgupta, Wang and Wheeler (1997). Surviving Success: Policy Reform and the Future of Industrial Pollution in China. World Bank Policy Research Department Working Paper No. 1856.

Dasgupta, Laplante, Wang and Wheeler (2002). Confronting the Environmental Kuznets Curve. Journal of Economic Perspectives—Volume 16, Number 1, 147–168.

EC, 2015. Energy Union Package “A Framework Strategy for a Resilient Energy Union with a Forward-Looking Climate Change Policy”.

Lopez-Menedez, Perez and Moreno (2014). Environmental costs and renewable energy: Re-visiting the Environmental Kuznets Curve. Journal of Environmental Management 145, 368 – 373.

Luzzati & Orsini (2009). “Investigating the energy-environmental Kuznets curve”, in Energy, 34, 291-300

Stern (2004). The Rise and Fall of the Environmental Kuznets Curve. World Development Vol. 32, No. 8, 1419–1439.

The Economist (2017). The World in 2017.

Torras and Boyce (1998). Income, inequality, and pollution: a reassessment of the environmental Kuznets Curve. Ecological Economics 25, 147–160.

Von Amsberg (1997). Brazil: Managing Pollution Problems, The Brown Environmental Agenda. World Bank Report.

About Mattia Ferrari

Laureato Magistrale in Politiche Economiche presso la Ruhr University di Bochum. Precedentemente ha ottenuto una Laurea Triennale in Economia Europea presso l’Università degli Studi di Milano. Ha collaborato presso il Willy Brandt Center for European and German Studies di Breslavia. I suoi temi di interesse riguardano la politica energetica, l’economia delle infrastrutture e dei servizi pubblici, sviluppo economico e ambiente.

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